I casi di infortuni presentati nei precedenti articoli di “Sbagliando si impara”, dedicati alle cadute dall’alto, mostrano inequivocabilmente come i lavori in quota nel comparto edile espongano i lavoratori a rischi molto elevati per la loro sicurezza. E come il corretto utilizzo di sistemi e dispositivi anticaduta possano prevenire o diminuire la gravità di eventuali infortuni. Ne abbiamo parlato con riferimento alla carenza di pianificazione delle misure di sicurezza o, più specificatamente, al mancato uso di imbracature (o imbragature) e cinture di sicurezza.
Oggi ci soffermiamo in particolare sulle linee di ancoraggio e sulle linee vita, intese come insieme di ancoraggi temporanei o stabili ai quale si agganciano gli operatori durante i lavori in quota.
Gli esempi di incidenti che presentiamo sono tratti dalle schede di INFOR.MO., strumento per l'analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
I casi
Un primo caso è relativo ad un incidente avvenuto nel 2005 su una copertura. Un lavoratore sta operando su una copertura, costituita da “lastre in fibrocemento posate direttamente su travetti prefabbricati a circa sei metri d'altezza”, per riparare alcune lastre. Insieme ad un collega, cammina direttamente sulle lastre senza sistemi di ripartizione del carico. Entrambi sono dotati di imbracatura collegati alla stessa linea vita già esistente. A seguito della rottura di una lastra, entrambi cadono fino al pavimento in quanto la fune correlata alla linea vita si spezza. Dalle indagini successive si evince che la fune era in pessime condizioni. Dunque, al di là del camminare su lastre non portanti, la scheda evidenzia la presenza di una linea vita deteriorata per mancanza di manutenzione.
Il secondo caso riguarda attività di sostituzione di una copertura del tetto di un capannone costituito da lastre di cemento e amianto. Il tetto è composto da queste lastre e da tre lucernari in traslucido che permettono alla luce di entrare nel capannone: la sostituzione riguarda le lastre intorno ai lucernari. Un lavoratore, titolare di un’impresa edile, si trova sopra il tetto del capannone a circa 10 metri di altezza dal suolo. Probabilmente, per passare da una parte all’altra dei pannelli da sostituire, sotto i quali esiste una solida struttura in cemento, cammina sopra le parti in traslucido. Tali pannelli, non essendo portanti, cedono sotto il peso del lavoratore che precipita all’interno del capannone. Il decesso avviene qualche ora più tardi in conseguenza del trauma cranico riportato in seguito alla caduta. Oltre a tale trauma sono stati riscontrati anche trauma toracico chiuso, contusione polmonare e fratture costali. Le indagini mostrano che per effettuare il lavoro di sostituzione, il lavoratore “non aveva predisposto nessuna opera provvisionale per evitare la caduta come un ponteggio (o tavolato sottostante) allestito al'interno del capannone o una rete anticaduta e non aveva con sé nessun dispositivo di protezione individuale, cioè una cintura di sicurezza collegata ad una linea salvavita sopra il tetto sul quale lavorava”. Tra l’altro “il proprietario del capannone non aveva predisposto un piano per l’amianto, non aveva dato comunicazione all’autorità competente dell’inizio dei lavori (i quali avrebbero organizzato adeguate opere per la sicurezza dei lavoratori nel cantiere) e l’azienda incaricata per tale lavoro non aveva le caratteristiche e le capacità tecniche necessarie per il lavoro che era stato assegnato”. In questa serie interminabile di carenze e adempimenti mancati, si rileva la mancanza di percorsi attrezzati per operare in sicurezza.
Il terzo caso è relativo ad una caduta attraverso un lucernario. Un operaio, sul tetto del capannone artigianale, sta trasportando, aiutato da un collega, un pannello di rivestimento in lamiera che deve essere posizionato sopra i lucernari presenti e ricoperti solamente da onduline in vetroresina non portante. Ad un certo punto, l’operaio appoggia un piede in corrispondenza di un lucernario protetto dalla sola lastra in vetroresina che immediatamente si rompe sotto il suo peso. L’operaio passando attraverso l’apertura del lucernario precipita sul pavimento in cemento del fabbricato posto 10 metri più in basso riportando “politrauma cranico facciale, addominale e toracico scheletrico con shock emorragico”, che ne causa la morte. “Non era installata, al momento dell’infortunio, la linea vita a cui agganciarsi tramite la cintura di sicurezza munita di regolare gancio e sistema di trattenuta (stopper). Gli operai autonomamente preferivano agganciarsi ai ganci metallici predisposti sui pannelli di cemento armato del tetto e che erano stati usati per la movimentazione degli stessi durante la costruzione del fabbricato. L’infortunato quel giorno non indossava idonea cintura di sicurezza anche se gliene era stata fornita una in dotazione. All’interno del capannone non era stato allestito il ‘sottopalco’ previsto per la tipologia di lavori che si stavano eseguendo”. Anche in questo caso, una panoramica molto ricca di carenze, a partire dalla mancanza di una linea vita sul tetto e di sottopalchi sotto i lucernari.
Infine, un quarto caso, sempre relativo alla mancanza di linee vita. Un lavoratore si trova sul tetto di una palazzina per eseguire manutenzione alla copertura in tegole. Ad un certo punto scivola lungo la falda del tetto e cade oltre il bordo precipitando a terra (9 metri più in basso) riportando un politrauma che ne causa la morte. Il lavoratore “non aveva allestito ponteggio o altro sistema di trattenuta come una linea vita; non indossava calzature antinfortunistiche ma scarpette da tennis a suola liscia. La situazione meteorologica aveva reso la superficie delle tegole ghiacciata e scivolosa”.
La prevenzione
Si possono rilevare, nei casi presentati oggi e in quelli che presenteremo in futuro, problemi di mancanza, di non utilizzo o carente manutenzione di idonee linee vita. Diamo ora qualche informazione più estesamente sulle linee e sui punti di ancoraggio, senza soffermarci solo sulle linee vita o sistemi di ancoraggio conformi alla norma EN 795.
Riprendiamo, a questo proposito, alcune definizioni tratte dal sito coperturasicura.toscana.it, un sito istituto dalla Regione Toscana:
– “lavoro in quota: attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza maggiore di 2 m rispetto ad un piano stabile;
– linea di ancoraggio: linea flessibile tra ancoraggi strutturali a cui si può applicare il dispositivo di protezione individuale [UNI EN 795] o elemento di collegamento specificato per un sottosistema con dispositivo anticaduta di tipo guidato [UNI EN 363];
– linea di ancoraggio flessibile: elemento di collegamento specificato per un sottosistema con dispositivo anticaduta di tipo guidato. Una linea di ancoraggio flessibile può essere una corda di fibra sintetica o una fune metallica ed è destinata ad essere fissata ad un punto di ancoraggio superiore [UNI EN 363];
– linea di ancoraggio regolabile: linea di ancoraggio con collegato un dispositivo di regolazione della fune. [UNI EN 12841];
– linea di ancoraggio rigida: elemento di collegamento specificato per un sottosistema con dispositivo anticaduta di tipo guidato. Una linea di ancoraggio rigida può essere una rotaia o una fune metallica ed è destinata ad essere fissata ad una struttura in modo che i movimenti laterali della linea siano limitati [UNI EN 363]”.
Concludiamo questa breve panoramica informativa con alcune indicazioni – riportate dalla Regione Veneto/ Azienda U.L.S.S. 15 “Alta Padovana” nel documento “ Io non ci casco – Manuale operativo per chi lavora in altezza” – relative ai criteri generali da adottare nella disposizione dei punti di ancoraggio:
– “la fase di installazione degli ancoraggi deve avvenire ovviamente in condizioni di sicurezza;
– i punti di ancoraggio, quando possibile, vanno posizionati sempre più in alto del punto di aggancio sull’imbracatura per limitare lo spazio di una eventuale caduta. Ancoraggi posti al di sotto del livello dell’imbracatura determinano spazi di caduta libera maggiori;
– il passaggio da un ancoraggio all’altro nella fase di lavoro o il primo aggancio nella fase di accesso in quota, deve avvenire evitando che l’operatore non risulti agganciato o protetto;
– possono essere previsti più punti di ancoraggio, anche di tipologia diversa, da utilizzare contemporaneamente e sequenzialmente per garantire le migliori condizioni di trattenuta dell’operatore;
– gli ancoraggi devono essere sottoposti a prove di resistenza con la metodologia indicata nelle norme tecniche di riferimento”.
Nelle prossime tappe di “Sbagliando si impara” ci soffermeremo sulle caratteristiche, sui vantaggi e difetti delle varie tipologie di ancoraggio.
Tiziano Menduto
(fonte: puntosicuro)
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